Sergio Armaroli e Andrea Centazzo si incontrano tra Milano e Los Angeles in dieci conversazioni e altrettante divagazioni per una traiettoria narrativa che attraversa fluidamente il tempo con la percussione come stile e scelta di arte e vita.
Una testimonianza urgente e uno sguardo molteplice e divergente secondo una prospettiva eccentrica su molte fasi della scena musicale e del music business degli ultimi cinquant’anni, dalle parole di un grande testimone e attore della rivoluzione musicale globale come Andrea Centazzo che insieme a Tony Oxley, Han Bennink, Pierre Favre e pochi altri ha dato una svolta alla percussione a partire dal jazz d’avanguardia e dall’improvvisazione totale fino alla musica colta, alla musica da film, al video e all’opera.
Andrea Centazzo è nato nel 1948 a Udine, vive e opera a Los Angeles.
È percussionista, compositore, produttore discografico e artista multimediale italiano naturalizzato statunitense.
Bacchette magiche, conversazioni e divagazioni sulla percussione, l'arte, la vita con Andrea Centazzo, il nuovo volume di Sergio Armaroli
Sergio Armaroli (artista, musicista e scrittore) incontra Andrea Centazzo in dieci conversazioni e altrettante divagazioni e testimonianze sulla scena musicale e sul music business degli ultimi cinquant’anni. Un video (ErratumTV) accompagna la pubblicazione del volume.
Titoli delle conversazioni: Il corpo della percussione; Oltre la musica totale; Politiche culturali e pseudo-culturali; L'avventura di Indian Tapes; Steve Lacy e l'inconscio; Dal Friuli di PPP all'ecologia sonora di Cetacea; Oltre il suono; Sbarazzarsi delle cose; Dall'Europa agli USA andata e ritorno; Liberi ma poveri!
DUE AVVENTURIERI FUORI DAL SISTEMA
di Paolo Carradori
La musica a percussione è la rivoluzione.
Suono e ritmo sono stati per troppo tempo sottomessi alle
restrizioni della musica ottocentesca .
Oggi combattono per l’emancipazione. (John Cage, anni ’50)
Mi domando, ma se Andrea Centazzo e Sergio Armaroli, fossero due pianisti o violinisti le cose sarebbero andate nello stesso modo? Direi di no. La condivisa scelta della percussione, in una visione molto ampia e con molte interferenze, come percorso professionale e creativo li pone su un piano di lettura diverso, dove la differenza non la fa solo l’aspetto strumentale (con il peso della sua storia) ma anche, nel caso specifico, il diverso vissuto generazionale. Il percussionista è una figura marginale nella storia della musica (si può dire?). In realtà chi percuote qualcosa c’è più o meno sempre stato ma è la dietro, al servizio di colorazioni, memorie etniche, tappeti ritmici. Sintetizzando (molto) è dal secondo Novecento che i compositori cominciano a pensare opere a loro dedicate, le tecniche strumentali si emancipano, come il ruolo. Se poi i due, come i nostri eroi (forse ho esagerato), si muovono creativamente a cavallo tra jazz, improvvisazione, panorami contemporanei con una spruzzata di elettronica, lo spiazzamento, l’incerta collocazione, complica tutto. È paradossale che le prime pagine delle enciclopedie sulla musica ci ricordino, mitizzandolo, come il primo suono comunicativo emesso dall’uomo sia stato quello prodotto dal proprio corpo e dal percuotere un legno (più tardi un tamburo), per poi far evaporare questa poetica traccia ancestrale.
Centazzo e Armaroli, due percussionisti. Ma dentro questa categoria ci stanno un pòstretti, la dilatano, spingono i confini più in là, verso una multidisciplinarietà checontemporaneamente è rivendicazione ma anche l’urgenza d’ampliamento di unavisione culturale, verso una musica non generica colonna sonora ma arte che ci aiuti a leggere una contemporaneità complessa. Centazzo e Armaroli, due artisti. Il primodagli anni Settanta percorre una strada unica in questa direzione, passa dalla batteria jazz alla creazione/invenzione di un ricco set percussivo che, oltre agli aspetti tecnici, gli permette di ampliare espressione e linguaggi in una coinvolgente fisicità.Armaroli da oltre un decennio si è imposto come tra i musicisti più attivi, visionari e progettuali, irrefrenabile sconfinatore, passa da Mahler a Cage, da Monk a Wolff. Affiancando la figura carismatica di Giancarlo Schiaffini, come testimone unico di una musica liberata da stili, generi, sovrastrutture e confini, ricerca, registra, fa concerti portando avanti un’indagine vitale, dove jazz e suoni contemporanei viaggiano liberi, si fondono, si attraggono. Affianca a questo percorso anche la parola e il segno (poesia, saggistica, grafica, disegno…) come a completare la figura di un intellettuale a tutto tondo.
Si giunge alle ultime pagine di Bacchette magiche, poi in realtà quelle rivelatrici, dove tracimano gli argini, convinti di aver viaggiato immersi in un vero e proprio manuale di resistenza. Le lontananze, le condivisioni, i dubbi disegnano percorsidove la problematica generazionale (culturale?) tra i colleghi Centazzo e Armarolisfuma, anzi si tramuta in ricchezza, lente di lettura altra che riesce a raccontarci come i territori, i contesti creativi e professionali, la vita vissuta, dei quali i due musicisti ci parlano siano radicalmente modificati negli anni, senza bisogno di noiose, cattedratiche analisi sociologiche. Il primo segnale è anche quello del vocabolario. Andrea, da rivoluzionario sessantottino, poi mica tanto perché alla rivoluzione da buon moderato (da anni cittadino americano che vive a Los Angeles) non ha mai creduto, evoca linguaggi, riflessioni figlie del forte legame ideologico degli anni Settanta tra i movimenti e la musica radicale, il free, l’improvvisazione. L’humus della sua formazione. Che poi tutto nasca da un equivoco, e i compagni ascoltino a casa, dopo i suoni inudibili nelle grandi arene politicizzate, la musica pop un dettaglio in quegli anni. L’equivoco più macroscopico (voluto o errore analitico?) quello causato da una bibbia di quei tempi…che ha rovinato un’intera generazione… (sottolinea Sergio) “Free Jazz/Black Power”di Comolli e Carles. In realtà dopo una vera e propria fascinazione collettiva verso questo saggio non ci è voluto molto per capire che il nesso automatico free-jazz/rivoluzione socialista non funzionava proprio. I musicisti americani che scoprivano l’Europa, come ricorda Andrea, possedevano sicuramente una propria sensibilità ma provenivano dalla politica ferocemente anticomunista del maccartismo, travestirli da militanti marxisti tout-court a casa nostra una manovra spericolata che se ha funzionato sul mercato discografico e in molte stagioni concertistiche, nascondeva tutti i propri limiti speculativi.
Nel dialogo spesso scoppiettante, Sergio gioca un po’ come il gatto con il topo, cerca di scovare, carpire in Andrea quel fuoco, quel filo rosso che lo pervade verso l’improvvisazione totale che ama e frequenta, accostandola ad altre pratiche creative autodefinendosi…percussionista concreto, pittore, poeta frammentario e artista sonoro…dilatando a dismisura, come pochi altri negli ultimi anni, il concetto di gesto poetico come estensione dell’idea di un’arte, costante ricerca multidisciplinare, politica. Sergio sta un po’ dietro, finge di non sapere, stuzzica e provoca. Li accomuna l’amore per la percussione, non tanto come scelta strumentale ma come ricchezza espressivo- comunicativa tra ancestrale, etnico, ritmico, in un profondo coinvolgimento gestuale-fisico, fino ad una contemporaneità complessa e tecnologica. Un mondo verso il quale i pregiudizi sono duri a morire…cosa sai suonare?…nulla… allora suona la batteria… questa memoria giovanile di Andrea nella sua Udine la dice tutta.
Possiamo dire che le foto degli anni Settanta di Andrea, con gli occhialini tondi da intellettuale gramsciano, davanti al suo esagerato muro di piatti, gong e tamburi e campane, che quasi lo nascondono, documentano visivamente proprio l’urgenza di un affrancamento, emancipazione dai luoghi comuni che vanno dal ruolo del batterista jazz che tiene il tempo per arrivare a quella dell’artefice, del compositore, del creatore di opere, colonne sonore, musica per teatro. Negli anni poi allargatosi alla fascinazione del visivo, film e video, come per gridare che il percussionista è un artista completo, che solo per motivi logistici sta spesso dietro sul palco, Sergio su questo si avventura ad una poetica …Questa del “musicista totale”, forse, è soltanto una mia suggestione collegata alla percussione, dove la Percussione ha una sua autonomia. Voglio dire: permette di pensare di creare la musica autonomamente rispetto agli stili, ai generi, agli obblighi e ai ruoli. Questo significa che un percussionista può riunire in sé tutta la musica esistente senza bisogno di nessun altro... Andrea lo riporta con garbo con i piedi per terra ricordandogli che è il pianista chi ha in mano le chiavi della musica occidentale. Al pianoforte si può creare contemporaneamente armonia, melodia e ritmo.
Ma quel musicista totale aleggia molto e non può che rimandare ad un altro testo simbolo della saggistica musicale italiana. Un libricino breve, pamphlet, libello, chiamatelo come vi pare ma con Musica totale (1975) Giorgio Gaslini (con il quale Andrea ha condiviso anni di collaborazione) lancia un sasso nelle acque agitate del rapporto musica/movimenti che produrrà molti cerchi e polemiche. Andrea non fa sconti, al di la dei valori dell’artista Gaslini (intellettuale con una decisa tendenza al narcisismo), definisce quel testo, tra l’ingenuo e il pretestuoso, un gesto di autopromozione. La controprova sta nell’ascolto dei dischi di quel periodo che al di là dell’evocazione emotiva di temi rivoluzionari nei titoli (Fischia il sasso, El pueblounido) non tradisce la struttura classica del jazz: tema-improvvisazione-tema.Cominciano a cadere le prime teste.
Ma a ben riflettere anche Centazzo nel 1980 lancia un sasso nello stagno. Per la sua etichetta autogestita ICTUS idea addirittura un triplo album di percussioni: IndianTapes . Un’impresa creativa e produttiva unica, con la quale vince il Premio della Critica discografica italiana. Una specie di antologia di brani, materiali, spezzoni messi insieme con un raffinato lavoro di editing e missaggio, l’uso dei primi registratori a otto tracce. …Un oggetto di culto… si entusiasma Sergio. …Ne sono uscito finanziariamente con le ossa rotte... aggiusta il tiro Andrea. …Uncapolavoro…Secondo Max Roach in una intervista a Franco Fayenz. Quella pazziaproduttiva e creativa ci da la misura di un artista che non si ferma davanti a nulla. Che si batte e si è battuto in un sistema che ti emargina, ti esclude , ti sfrutta se non aderisci, riconosci gerarchie e poteri di direttori artistici, titolari di etichette discografiche. Anche se oggi con la rete potenzialmente gli spazi per farsi conoscere paiono illimitati certi ambienti rimangono ancora ampiamente inquinati in questo senso
Armaroli nel suo grattare, approfondire, apre uno scenario delicato: il jazz in Conservatorio ed è molto chiaro…: il jazz, nei Conservatori, viene svuotato di tutta la tensione di cui si nutre la musica viva. Il collega aderisce senza dubbi con una riflessione definitiva quanto amara… l’idea romantica del musicista jazz come “avventuriero fuori dal sistema” non esiste più. I due smontano un altro caposaldo, il riconoscimento accademico del jazz. Da conquista, attraverso programmi e approcci tradizionali, si trasforma in problema culturale, un standardizzazione che, con le dovute cautele ed eccezioni, ha generato schiere di musicisti che culturalmente non vanno oltre bebop e tecnicamente suonano un po’ tutti uguale.
Nelle due ultime conversazioni si sintetizzano molte delle tematiche affrontate, quelle che riguardano la professione, le prospettive, i progetti, la vita. Centazzo, cittadino americano, rivendica la matrice culturale europea, che nella scelta dell’improvvisazione radicale dopo l’esperienza gasliniana
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RECENSIONI | REVIEW
Recensione del libro di Sergio Armaroli, Bacchette Magiche-Conversazioni e divagazioni sulla percussione, l’arte, la vita con Andrea Centazzo, Manni Editori
“La musica deve essere espressione di qualcosa di più complesso e che va oltre il musicale, includendo una presa di coscienza strutturale, politica, da costruire all’interno di un pensiero più ampio.”
Come non essere d’accordo con il musicista e docente Sergio Armaroli, che si autodefinisce pittore, percussionista concreto, poeta frammentario e artista sonoro. Animato da una costante ricerca di una unità dell’esperienza all’interno di un percorso multidisciplinare, in questo volume il vibrafonista dialoga con il percussionista e artista multimediale Andrea Centazzo, italiano ma naturalizzato statunitense e residente negli Usa da molti anni (1).
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A volte, a portare «in direzione ostinata e contraria», oltre che le personali contingenze del carattere – peraltro non certo sgradite a tutti: spesso è solo franchezza sincera – è la vita stessa e quanto ti sei scelto di fare. Da una vita, e suo malgrado in direzione ostinata e contraria, è un batterista, percussionista, compositore e sperimentatore che risponde al nome di Andrea Centazzo. Già l’elenco delle attività del musicista udinese, da decenni trasferitosi negli Stati Uniti, può dare qualche indizio sul perché spesso Centazzo trovi motivo per alterarsi: perché nel nostro paese chi armeggia creativamente e con cognizione di causa con attrezzi che servono a portare il ritmo o colori timbrici particolari viene guardato con sospetto se si cimenta con la composizione, o con l’opera contemporanea, e sembra invadere orticelli presidiati altrui. A Centazzo è successo spesso, ricevendo risposte che sarebbero pure esilaranti, se non fossero invece prova dell’abissale fondo di pregiudizio che aureola malignamente i musicisti poco classificabili in recinti stretti: «Se cambi, la critica e il pubblico smettono di seguirti, questa è la triste realtà che ho sperimentato sulla mia pelle». Sta di fatto che Centazzo, oggi settantaseienne, deve ancora fare una bella fatica per portare avanti la sua quotidianità, non potendo contare su trascorsi da insegnante nei conservatori. S’è sempre messo in gioco, e quando la sua musica ha assunto tratti più comunicativi e gioiosi, o addirittura è servita come efficace «musica d’uso» per le colonne sonore, apriti cielo: sono fioccate le accuse di tradimento di una nobil causa peraltro mai affrontata in prima persona da chi alza cartellini di espulsione dal campo musicale. Tutto questo e molto altro, con una quantità di aneddoti e fatti su come s’è articolata la vita e il pensiero musicale di Andrea Centazzo (riaffacciatosi sul mercato con un disco splendido, Indian Summer) lo trovate in un volume monografico curato in forma d’intervista da Sergio Armaroli, vibrafonista eccellente, amico e sodale di Centazzo da lunga pezza: suona peraltro proprio nel disco appena citato. Il testo è Bacchette magiche/Conversazioni e divagazioni sulla percussione, l’arte, la vita, Manni Editore. Dunque un addetto ai lavori delle percussioni che intervista un maestro scomodo e diretto delle percussioni: una panoplia di riflessioni sulla tecnica, il contesto umano, la temperie culturale, sociale e politica di un’Italia e di un mondo che non c’è più.
Guido Festinese